Il Pollo che attraversò la strada

Pollo era un pollo, e su questo si poteva esserne certi. Ma se qualcuno di voi crede io stia mentendo, che ciò che seguirà sarà la dimostrazione dell’esatto contrario di quanto ho appena scritto, allora sappiate che avete ragione. Quindi continuate a leggere e godetevi la storia de:

-Il Pollo che attraversò la strada-

In un allevamento di polli come ce ne sono tanti, c’era un pollo proprietario dell’appartamento in cui viveva. E non solo. Era proprietario anche di un bel divano, un letto comodo, un televisore con impianto Home Theater, una finestra dalla quale si godeva un bel panorama ed infine di un servitore personale, addetto per lo più a sveglia mattutina. Per un caso del tutto accidentale il nome di questo pollo era per l’appunto Pollo, un normale animale di campagna che lavorava per conto del padrone dell’allevamento. Cosa poi producessero non l’aveva mai veramente capito, sapeva solo che doveva mangiare, dormire e che un giorno gli avrebbero fatto una gran festa. Se fosse stato più intraprendente nel suo modo di pensare chissà da quanto se ne sarebbe andato via da quel lavoro senza sbocchi professionali. Ma Pollo era un pollo, non aveva grandi sogni né strani desideri su abbandonare appartamenti propri o andare in cerca di lavori migliori. Un pollo semplicemente rimaneva dov’era, senza stare a pensarci su troppo. Ma l’imprevisto si sa che è sempre alle porte, e se in più vivete in un luogo dove le fatine magiche volano in giro facendosi gli affari degli altri allora anche dalle finestre vi possono saltare in casa imprevisti belli grossi. Questo in particolare era alto un metro e sessanta abbondante, portava i capelli biondi sciolti al vento, e aveva un corpo corredato di alucce, polverina magica ed una bella bacchetta pronta a incasinare la vita di un pollo qualunque. “Mio piccolo pollo“, disse la fatina dopo aver svegliato il proprietario di casa infrangendogli i vetri della finestra, “ho sentito il tuo desiderio e lo esaudirò. Da adesso in poi sarai un bambino vero!
Tra lo scompiglio di una matta che ti salta fuori dal nulla nel pieno della notte, e l’incomprensione sulle parole della medesima, il povero Pollo non fece in tempo a spiegare che ci doveva essere un errore che si ritrovò prima ricoperto da una nuvola di lustrini luminescenti, e poi trasformato in un bambino grassottello, per di più nudo se si fa eccezione per un gruppetto dei lustrini precedenti che, non so se per fortuna nostra o per decenza dello scrittore, erano finiti a coprirgli le pudenda. Comunque così come se ne era venuta la fatina scomparve e ciò che si lasciò dietro fu casino e gran rottura di balle. Passato il primo momento di sbigottimento, il neo bambino vero si convinse che doveva essere stato tutto un brutto sogno e se ne tornò a dormire.

Padron Pollo. Padron Pollo!” Era Pollastrello, la sveglia personale di Pollo. “Padron Pollo svegliatevi, siete diventato un bambino vero!” Ora dovete sapere che tutti i personaggi che d’ora in poi incontreremo sapranno capire al volo che Pollo non è un bambino vero ma bensì un pollo trasformato in bambino vero. Il motivo è semplice, per loro che sono presenti la scoperta è un fatto scontato, mentre invece per voi che leggete è una decisone mia. E io ho deciso che no, se proprio dovrete sapere perché tutti lo riconoscono, lo scoprirete solo alla fine.
Ad ogni modo eravamo arrivati al momento culminante, quando Pollo scoprirà il fatto che era tutto reale, che la fatina l’aveva trasformato sul serio in un bambino vero e soprattutto nudo, che la sua finestra era davvero rotta in mille pezzi e che sì, adesso erano casini grossi con l’assicurazione. Ma siccome tutto questo l’ho appena detto io, non vedo perché farglielo ripetere al protagonista ed al suo servitore alquanto stordito. Quindi passiamo direttamente alla scena successiva.
Padron Pollo, con che belle parole mi avete spiegato tutto. E che dovizia di particolari. Neppure il più bravo degli scrittori sarebbe riuscito a farmi immaginare così vividamente la situazione in cui siete stato coinvolto ieri notte a causa di quella fata rimbambita“, “Eh già, mio buon Pollastrello. Ma adesso andiamo subito a fare colazione che ho una certa fame” concluse Pollo. I due si misero quindi a razzolare per l’aia come loro solito, quando arrivò l’allevatore, il quale vedendolo gli disse: “Pollo, adesso che sei diventato un bambino vero non va bene per gli affari che tu rimanga qui. Cosa penserebbero i clienti se ti vedessero nell’allevamento? E per di più sei pure nudo!” Essendo io voce narrante ed inventore del racconto voglio che sappiate che diversi anni dopo, forse aiutato dalla scena di poc’anzi, il suddetto allevatore fu per davvero trovato ad allevare bambini veri per scopi alimentari. Giusto perché sappiate cosa potreste ritrovarvi nel piatto se mai vi capitasse di finire in favole come questa.
Sperando che non mi interrompano più“, disse l’allevatore stizzito, “stavo dicendo che se vuoi ritornare ad essere un pollo come prima forse troverai ciò che cerchi nella ‘Grande città dove succedono grandi cose!’“.
Dovete sapere che l’allevamento si trovava proprio a fianco dell’unica strada asfaltata dell’intero ‘Paese delle cose talmente assurde che è meglio dargli nomi lunghi così la gente se le scorda‘. Quindi se Pollo voleva per davvero andare alla ‘Grande città dove succedono grandi cose!‘, avrebbe dovuto attraversare la ‘Grande strada che poi sarebbe un’autostrada ma noi la chiamiamo comunque la strada di finto oro‘. Una cosa che qualunque pollo considera male, un po’ per la paura insita in ogni animale di finire sotto ad un’automobile, un po’ per il significato importante dell’abbandonare la propria casa, un po’ ancora per il rischio che hanno i polli di cadere vittima di barzellette mediocri.
Comunque Pollo doveva a tutti i costi tornare normale, così prese le cose che pensava potessero servigli durante un viaggio come quello: un panino con la mortadella, una chiave inglese, un pacchetto di fazzoletti a doppio strato, degli assorbenti con le ali che non si sa mai, un DVD comprato qualche giorno prima che non aveva ancora avuto il tempo di vedere, e uno scontrino ormai ingiallito trovato in un vecchio cappotto. Si vestì con l’unico abito da umano che possedeva, il costume dell’Halloween passato, vale a dire un vestito rosa e vaporoso da ragazzina bionda con tanto di trecce, e partì. Nell’insieme non è che facesse una gran bella figura, però c’era qualcosa di intrigante in lui, almeno per me.
Mentre si allontanava dal pollaio gli corse incontro Pollastrello: “Bon, fin qui è stato bello ma da adesso le nostre strade si dividono. Quindi niente più Padron Pollo e fesserie simili. Addio!” Con fare da eroe navigato Pollo gli rispose: “Col cacchio! Vieni con me e la questione è chiusa“. Pollastrello, che malgrado tutto voleva un gran bene al suo padrone e voi avete capito bene in quale senso, si decise e lo seguì aldilà della strada.

Paesaggi immensi, campi lunghissimi, piani sequenza all’americana. Pollo non smetteva mai di chiedersi cosa avrebbero trovato oltre la strada. Ma siccome di queste cose ne capiva poco finì col fare l’orrenda battuta di cui sopra. Per fortuna arrivò Pollastrello, finalmente pronto anche lui alla partenza. “Padron Pollo possiamo partire“, “Bene Pollastrello“. “Padron Pollo sono felice di partire con voi“, “Bravo Pollastrello“. “Padron Pollo, ma cosa troveremo dall’altra parte?“, “Non lo so Pollastrello“. “Padron Pollo, ma perché i polli anche se non sanno cosa troveranno dall’altra parte, attraversano lo stesso la strada?“, “Nessun pollo lo sa esattamente Pollastrello, ma credo che sia per non sentire più rompicoglioni come te scassargli l’anima per tutto il tempo!” E fu così che dopo aver preso a calci Pollastrello, finalmente Pollo mise per la prima volta il suo piede da bambino vero sulla ‘Grande strada che poi sarebbe un’autostrada ma noi la chiamiamo comunque la strada di finto oro‘.
L’attraversamento di una strada in sé è semplice, si parte da un punto A e si raggiunge un punto B. Il problema è che se sei un pollo, o un bambino vero vestito da ragazzina con tanto di trecce, gli automobilisti e i camion sembrano fare di tutto per cercare di tirarti sotto. E con i nostri protagonisti rappresentanti di entrambe le tipologie di vittime predestinate, la voglia di beccarli fu tanta. Dapprima arrivarono schiere di vecchiette completamente cieche su piccole utilitarie. Evitarle fu alquanto facile, ma un paio di alberi a bordo strada non furono altrettanto fortunati. Poi venne il momento di giovani scalmanati e ubriachi con la voglia di fare corse clandestine. La questione si fece rovente, ma per fortuna la troppa eccitazione, e soprattutto ubriachezza, dei nuovi arrivati si ritorse contro i medesimi. Cominciarono a scontrarsi tra loro e quando ebbero finito uno sfascia carrozze, che abitava là vicino, si fregò le mani dalla felicità. Ci sarebbe potuta essere anche una battuta su degli avvoltoi che furono contenti pure loro della faccenda, ma il mio editore me l’ha fatta togliere adducendo futili motivi a riguardo delle povere famiglie delle vittime. Che poi, avendoli creati tutti io i personaggi, e non fregandomene un ciufolo di loro, vorrei capire perché non ho potuto farla! Ad ogni modo adesso era arrivato il momento degli impiegati di ritorno dal lavoro e dei camionisti incazzati come bisce perché erano in ritardo sulla tabella di marcia. Questa volta erano davvero cazzi amari!
Ammetto persino io che la coincidenza che si venne a creare proprio in quel momento fu davvero troppa, persino per un racconto su come due protagonisti si salvano la vita in rocambolesche avventure all’inizio della loro lunga storia. Comunque il fatto resta, dal fondo della strada, in direzione opposta a quella dei mezzo-muniti inferociti in arrivo, apparve a tutta velocità un treno appena deragliato e finito in maniera del tutto imprevedibile sull’unica strada locale. Lo scontro fu talmente eclatante che a molti anni di distanza si parlava ancora di uno scoppio di motori, asfalto e carrozzerie varie, seguito dal volo in cielo di diversi incazzosi, un macchinista di treno e due strani piccoli figuri che in pochi degnarono di attenzione, e i più manco ricordano. E fu così che Pollo e Pollastrello si ritrovarono in un balzo dove non avrebbero mai voluto finire, nel ‘Villaggio di quelli che una volta erano e adesso è meglio non stargli troppo vicino‘.

Ora dovete sapere che il ‘Villaggio di quelli che una volta erano e adesso è meglio non stargli troppo vicino‘ è abitato da persone che un tempo furono e che adesso non sono più, o per dirla in maniera amichevole: Zombie. Esseri che, per quanto stiano cercando di emanciparsi dall’idea di mangiare cervelli altrui, non sono certo tipi raccomandabili con cui avere a che fare. Ma l’idea di restyling dell’immagine zombie comunque resta e il loro Ente Turismo si sta dando parecchio da fare in questo senso. Proprio per questo motivo, quando Pollo e Pollastrello cascarono da un ramo proprio davanti alla sede della Pro Loco locale, si ritrovarono loro malgrado coinvolti in un giro turistico dell’intero villaggio con tanto di gran finale, la partecipazione a una festa folcloristica per meglio comprendere usi e costumi di una popolazione non compresa appieno. Per quanto cercassero di spiegare che erano lì solo per un caso non ci fu verso di scappare dal tour organizzato, e così cominciarono con il fare un giro del villaggio dove gli furono mostrati i tipici lavori locali.
Essendo gli zombie gran mangiatori di cervelli, ben presto sono diventati tutti molto intelligenti, di conseguenza la quasi totalità della popolazione è nel campo dell’istruzione come insegnante. Ma siccome sono per l’appunto tutti mangiatori di cervelli, e quindi tutti potenziali insegnanti, non esistono zombie studenti a cui insegnare! E per quanto ci si sia provato a far venire gente da fuori, stranamente i risultati sono stati scarsi. Altro lavoro molto interessante è quello dell’attore per film horror. Al villaggio degli zombie infatti si dice che chi sa mangiare cervelli insegna, chi non sa insegnare va al cinema. Sperando solo sul grande schermo e non in mezzo alla sala a crear confusione tra gli spettatori.
Bambini tra gli zombie ce n’è pochi, un po’ per auto-censura, che zombare bambini non è mai stato visto troppo bene dalla gente diciamo ‘normale‘, un po’ perché se già un bambino sano tende a sporcarsi e a far danni, uno che è diventato pure zombie crea situazioni davvero ingestibili per gli sventurati genitori. Immaginate un bimbo all’asilo che al grido di ‘Merenda!‘ salta addosso ai propri compagni, oppure intere recite scolastiche finite in tragedia per un gruppo di ragazzini impazziti a causa del nervosismo da palcoscenico. Ad ogni modo il tour continuava e noi siamo rimasti indietro a cianciare, quindi direi di proseguire velocemente.
Il tour continuò con la visita al museo locale. Subito all’entrata c’era un grande murales con la rappresentazione dell’evoluzione degli zombie. Si partiva dalla scimmia fino ad arrivare all’uomo, come una qualsiasi rappresentazione classica dell’evoluzione umana, ma dietro l’ultimo Homo Sapiens ad un certo punto saltava fuori il primo zombie, esattamente Ernesto Beccalossi, capostipite di una nuova specie. Ai suoi tempi la sua malattia venne scambiata dai medici per una semplice influenza, con una leggera complicazione riguardo la perdita di vita e successiva inspiegabile rinascita. Andando avanti, nelle varie stanze del museo si potevano ammirare le grandi doti artistico-artigianali della popolazione locale, vasetti di ceramica rappresentanti cervelli, magliette con ricamati cervelli, quadri raffiguranti cervelli, in alcuni casi con evidenti segni di morsi, ed infine una maestosa statua del grande fondatore della loro razza, con in mano il cervello del medico che sbagliò la diagnosi. Pollo ebbe solo a dire che era un gran bel posto e che c’era di che andare fieri nel ricordarsi in maniera così dettagliata le proprie lontane origini. Personalmente lui della sua specie sapeva solo di un legame stretto che la legava ai cuscini e alle cucine, non un granché di cui vantarsi.
Visto che ormai si era fatto tardi, i due unici partecipanti al tour vennero accompagnati in un albergo dove poterono rinfrescarsi in attesa della grande festa serale. Francamente io consiglierei di saltare la descrizione della festa. Molti si aspetteranno che in realtà i due finirono in situazioni strane e ambigue con il rischio concreto di essere mangiati, ma purtroppo non fu così. Anzi la maggior parte della serata fu considerata da loro come piacevole, tra balli tipici un poco ciondolanti e una gara di limbo in cui diversi concorrenti si spezzarono letteralmente in due, continuando comunque a partecipare alla festa addirittura felici di essere finalmente in coppia per eventuali balli lenti. L’unica cosa che merita di essere menzionata fu il fatto che all’inizio della festa i nostri protagonisti erano due e alla fine della medesima si ritrovarono in tre.
Gnaaargh!Pollo fece un salto di paura finendo tra le braccia di uno zombie. “Non mi abituerò mai a dire il tuo nome“, disse il neo bambino vero, “Ogni volta che lo faccio finisce che mi prende un colpo!” Lo zombie, nelle cui braccia era finito il nostro malcapitato protagonista, era per l’appunto Gnaaargh!, uno zombie psicologo che voleva vedere il mondo. Tutte cose che sapreste se foste stati presenti alla festa tenutasi al villaggio degli zombie, o se chi scrive questo libro avesse avuto voglia di descrivervela nei dettagli. Ma visto che per l’appunto le cose in questione non le sapete, vedrò di riassumerle così che possiate andare avanti a leggere la storia.
Gnaaargh! era uno psicologo che non aveva mai niente da fare. Gli zombie non muoiono né soffrono per niente di quello che li circonda. A pensarci adesso non aveva fatto una grande scelta ai tempi dell’università. Quando sei uno zombie dovresti sapere cosa pensano gli altri zombie, e se sai che non pensano nulla che lo fai a fare lo psicologo?! Ad ogni modo la frittata era fatta e così il povero zombie inutile passava le sue giornate a desiderare di viaggiare, vedere il mondo, conoscere nuove persone, magari pazienti con i quali riempire le giornate e soprattutto le tasche. Fu così che quando vide due strani personaggi fare la loro comparsa al villaggio non perse tempo e attaccò bottone con loro. Convintoli che un medico in grado di distinguere quando si è pazzi e quando ancora no, fosse molto utile per un viaggio avventuroso verso l’ignoto, riuscì a partire con loro dal ‘Villaggio di quelli che una volta erano e adesso è meglio non stargli troppo vicino‘. E poi non dite che non sono talmente buono da perdere del mio tempo prezioso per voi.

Per quanto parte del racconto, e suo seguito senza interruzioni, questo pezzo potrebbe avere un titolo a parte: ‘Di come furono creati gli ippopotami volanti dal geniale, e soprattutto ridente, professor Frank!
I nostri protagonisti uscirono dal villaggio e ripresero il loro viaggio. Per i più che magari si aspettano crisi e problemi causati dal nuovo membro del gruppo, mi spiace dover dare una delusione. Gnaaargh! ebbe un paio di piccole tentazioni alimentari, purtroppo facilmente represse, e Pollo alla fine si abituò a dire il suo nome senza dover più fare strani e comici salti in braccio a chicchessia.
Dopo qualche giorno arrivarono ad uno strano e tetro castello abbandonato, un cartello riportava il nome del posto: ‘Il ridente angolo di paradiso famoso e rinomato in tutto il mondo‘. “Ci sono così tante cose false scritte in quel nome che è inutile farci caso” disse con fare di complicità coi nostri amici una vecchietta apparsa dal nulla.
Ripresosi dal colpo quasi mortale di vedersi apparire una vecchia sdentata da un posto imprecisato alle proprie spalle, Pollo le chiese chi fosse e cosa volesse: “Come ha detto la voce narrante, chi siete e da dove venite, vecchietta dai comportamenti così particolari che quasi quasi mi vien voglia di non aspettare risposta ed accopparvi direttamente qui senza pensarci due volte!“, “Adulatore!” gli rispose la vecchia, poi rise producendo un suono spettrale, come di una porta che cigola nella notte. Messe due gocce d’olio ai lati della bocca continuò: “Sono stata l’assistente del famoso, e soprattutto ridente (che l’autore ci tiene a questa cosa!), professor Frank, genetista di chiara fama e pazzo ancora più riconosciuto. Qui realizzò il suo più grande progetto, far volare ogni genere di animale, e tra essi la sua opera più maestosa, i leggendari ippopotami alati. Ma lasciate che vi racconti l’intera storia:
Frank da piccolo era uno sconosciuto, ma comunque già ridente, normalissimo bambino. Un giorno sentì dire dai suoi genitori una strana frase su degli asini volanti che a lui sembrò come una visione del futuro: “Non solo gli asini, ma verrà un giorno in cui anche i maiali e gli scoiattoli avranno le ali, e più avanti chissà, persino scimmie ed elefanti!”
Cominciò così a fare esperimenti. Dapprima si limitò a buttare giù da una torre vari animali sperando in una naturale predisposizione al volo, ma non ne ottenne nulla se non il frigorifero pieno di avanzi. Passò poi ad incollare ali di piume e cera sulle zampe delle povere bestiole, ma anche lì nessun risultato. Tentò anche accoppiamenti interspecie, ma tranne per la faccia compiaciuta di un piccione che fu accoppiato con una gran maiala non ci furono effetti positivi. Per quanto ci provasse era inutile, non riusciva con le proprie capacità di bambino a raggiungere il proprio obbiettivo. Decise di arrendersi temporaneamente, giusto quei vent’anni tra scuole primarie, secondarie e laurea con tanto di bacio accademico per i grandi risultati raggiunti nel campo della scienza, e ritornò a provarci con le sue sperimentazioni assurde.
Passarono altri anni di frenetici tentativi purtroppo infruttuosi, quando gli arrivò all’orecchio la notizia di un luogo incredibile dove sembrava che le regole della realtà fossero più deboli. Si chiamava ‘Il luogo dove possono essere create grandi cose ma solo se ne hai le capacità‘, e infatti come diceva l’enigmatico nome del posto tutti sapevano che era un luogo straordinario, ma di prodigi non ce n’era stato ancora manco mezzo. Andò là e costruì un suo castello-laboratorio, trasformò un meraviglioso bosco in un gigantesco prato verde dove far partire e atterrare i suoi esperimenti, assunse una marea di gente del luogo pagandola pure parecchio, per evitare fastidiosi contrattempi come domande sul perché realizzare una cosa tanto assurda, e ricominciò a lavorare sulle cavie.
Nel giro di pochi anni si iniziarono a vedere piccoli topolini volanti in tutta la zona, poi si passò ai serpenti, perché i topi erano un bel problema. Si passò così alle manguste, ai gatti, ai cani, agli accalappiacani, alle tigri ed infine agli ippopotami. Credo che l’idea di base fosse il rapporto preda-predatore, nel tentativo all’inizio di liberarsi di fastidiosi roditori infestanti ed infine di schiacciare con una bella botta dal cielo fameliche tigri mangia uomini. Si sarebbe anche potuto andare oltre ma il WWF e il sindacato degli accalappiacani finirono con il fermare il geniale genetista. Gli fecero causa, lo sfrattarono dal castello, i suoi dipendenti persero il lavoro, gli animali e i terreni ritornarono selvatici, nel giro di poco tempo questo posto che aveva cambiato il suo nome in ‘Il ridente angolo di paradiso famoso e rinomato in tutto il mondo‘ divenne il luogo lugubre che vedete
” concluse la vecchietta.
E lei, scusi, chi sarebbe in tutta questa storia?” chiese Pollo. “Io?” chiese la vecchietta con fare sorpreso “Semplicemente la matta del luogo, e sono famosa per raccontare storie inventate ai gonzi che mi stanno ad ascoltare!
Pollo e compagni se ne andarono incazzati come bisce, non prima che sullo sfondo alle loro spalle passasse in modo misteriosamente complice col pubblico lettore, un ippopotamo alato.

Lungo la strada del loro viaggio avventuroso si trovarono ad un bivio con una serie di cartelli. Proprio sotto di essi, indeciso su quale direzione prendere, c’era un robot.
Ora dovete sapere che come robot persino lui si trovava un po’ finto, e così condivideva l’idea di tutti quelli che lo incontravano: Era troppo semplice perché funzionasse davvero! Per testa aveva una teiera dalla quale usciva sempre fumo, al posto del torace una stufa con batterie atomiche che alimentavano una bella fiamma, per braccia aveva una canna da pesca con la lenza tutta aggrovigliata ed un piede di porco con un guanto di gomma infilato sulla punta, le gambe erano due bastoni abilmente camuffati con l’ausilio di molle completamente inutili e di alcune alette colorate che davano l’idea di velocità, ma tutte quelle fregnacce da tecnico di robotica no, non c’erano. Questa visione insegnò ai nostri neo viaggiatori che le apparenze spesso ingannano. I robot prima di partire gli sembravano una cosa seria e figa, invece adesso che ne vedevano uno dal vero gli sembrava di stare di fronte ad una discarica deambulante.
Quale direzione dovrò prendere?” disse all’improvviso il robot, come se non stesse parlando a nessuno in particolare. “E che ne sappiamo noi!” disse Pollo con fare autoritario, tipico del bifolco medio posto davanti a qualcosa che non capisce, cioè praticamente ogni cosa esistente al mondo. “Era tanto per chiedere… mica mi aspettavo una risposta… pura retorica… si chiede per fare qualcosa e sperare di conoscere qualcuno… volete del fumo?” E la sera passò tra domande sulla vita, nuove conoscenze e inequivocabili nuvole e odori che attirarono l’attenzione della polizia locale.
I cani della narcotici, accorsi per i controlli, si unirono presto al gruppo e la festa si allargò ancora di più all’arrivo dei loro padroni, che certo non volevano farsi lo sbattone di essere gli unici a non voler fare attività sociali. Più tardi, richiamati dagli schiamazzi notturni, la gente di un paese vicino si unì anch’essa al divertimento alterato e per porre fine alla questione, che si sta prendendo fin troppo del mio tempo nel descriverla, concluderò dicendo che pochi giorni dopo venne posta nel paese sopraccitato, chiamato per l’appunto il ‘Paese spesso sopraccitato ma mai abbastanza descritto da individuarlo precisamente‘, una statua dedicata a Ruggine X7500, il robot più scalcinato e strafatto che la storia ricordi, causatore di una festa che proseguì imperitura negli anni a seguire.

Erano già molti giorni che i tre protagonisti viaggiavano insieme quando arrivarono alla zona dei ‘Boschi inesplorati ma solo per motivi di pigrizia‘, un luogo tremendo dal quale tutti ne uscivano cambiati. Chi diceva che a percorrerlo si diventava pazzi, chi ambiguamente diversi, senza peraltro capire cosa questo significasse. Purtroppo i nostri amici avevano passato buona parte della vita a casa loro, senza vedere il mondo e soprattutto senza imparare le cose che sarebbe stato meglio avessero saputo evitando così i casini in cui invece finirono.
Al centro del ‘Più grande bosco dei boschi inesplorati ma solo per motivi di pigrizia‘ c’era un grande centro commerciale, pieno di luci e vestiti fashion, ma ciò che videro li riempì di terrore sordo e sarebbe stato meglio pure cieco. Tutto intorno al centro commerciale, e per fortuna un po’ anche dentro lontano dagli occhi, c’erano le Sabrine!
Ora proverò a descrivervene una, anche perché quest’ultima si sta avvicinando ai nostri protagonisti e mi sembra giusto sappiate chi dovete immaginarvi di fronte quando ascolterete le sue parole più avanti nella storia: Partiamo dal viso, aveva due bei baffi neri molto folti con un leggero accenno di barba sul mento, occhi molto truccati, pendenti di perle alle orecchie, un piccolo e vezzoso anellino al naso e capelli finto biondi con accenni di ricrescita. Scendendo portava una canottiera corredata da petto villoso e catena in oro massiccio recante la scritta ‘Simply Bitch!‘, giacca di pelle rigorosamente nera con borchie annesse, gonna a fiori di lunghezza inguinale con tanga visibile all’intero mondo vicino e lontano, gambe pelose inguainate in calze a rete, culo da paura, scarpe con zeppa e tacco altissimo da vera zoccola. Nell’insieme un’indefinibile creatura al di là di ogni definizione di ambiguità.
Ad ogni modo la Sabrina in questione si era oramai avvicinata ai nostri eroi e cominciò quello che sembrava essere un gran bel discorso, un po’ pomposo ma nell’insieme di sicuro effetto, va a capire se di benvenuto, allontanamento o cos’altro. Bisogna infatti dire che le Sabrine di strano non avevano solo l’aspetto e il luogo dove vivere, avevano anche seri problemi nel farsi capire. Parlavano utilizzando una sola parola che andava bene per tutto quello che volevano dire, ma mentre tra loro si comprendevano perfettamente il resto del mondo non ci capiva una mazza.
Sabrina! Sabrina sabrina. Sabrina sabrina, sabrina sabrina sabrina. Sabrina sabrina?” Appena terminata la frase, e visto il sorriso sul volto dell’interlocutore/trice, i nostri se la volevano dare a gambe. Mai prima d’allora, e per fortuna mai neanche dopo, furono costretti a vedere qualcosa di così sorprendente e sconvolgente allo stesso tempo come quello che videro. Gnaaargh! saltare addosso alla Sabrina, ma purtroppo non per darle un morso. Tutte quelle effusioni tra esseri di tale affermata bruttezza fu troppo e avvenne così che Pollo cadde svenuto, subito seguito da Pollastrello che non voleva rimanersene lì da solo ad affrontare una simile realtà.
Il centro commerciale delle Sabrine era per l’appunto pieno di Sabrine, se si fa eccezione per due poveri protagonisti al momento alquanto provati. Appena si ripresero andarono a cercare Gnaaargh! e incamminandosi in quei locali mondani furono a contatto con cose inenarrabili. Giganteschi specchi che riflettevano mandrie di Sabrine in ogni dove, maxi schermi che trasmettevano immagini di Sabrine intente a presentare chissà quali prodotti tutti chiamati ‘Sabrina‘, Sabrine di ogni età scorrazzare liberamente da una parte all’altra dei negozi, e chi dice che i bambini di qualunque specie animale sono carini cambierebbe idea se vedesse le piccole Sabrine. Guazzabugli di sessualità male organizzata con l’aggravante della bassa statura che comprimeva il tutto. Se ancora non l’avete capito dalle descrizioni che vi sto facendo, uno i nostri sono nei casini più neri, due io odio a tal punto le Sabrine da avere scritto apposta questo racconto per poterne sparlare liberamente.
Comunque l’ex pollo e il suo servitore\radiosveglia trovarono finalmente il loro amico zombie, una volta capace di intendere e volere e adesso chissà, intento nell’antico gioco dell’amore ai bordi di una fontana proprio davanti ad una paninoteca che vendeva McSabrina a tutto spiano. Una scena di una romanticheria ignobile. “Mi dispiace amici ma il mio viaggio è stato lungo abbastanza. Ho trovato l’amore vero e qui mi fermerò” disse Gnaaargh! ai due ormai ex compagni d’avventure. “Anche a noi dispiace per te e per il tuo gusto estetico che è andato a farsi benedire” rispose Pollo con tutta la gentilezza che gli era possibile. Si salutarono così, senza pretendere niente, aspettando gli uni di coronare il proprio sogno d’amore, gli altri di uscire dal bosco il prima possibile per ridere a crepapelle del loro amico innamorato.

Quando Pollo e Pollastrello furono ai bordi dei ‘Boschi inesplorati ma solo per motivi di pigrizia‘ si ritrovarono davanti un prato immenso completamente blu. Il motivo per cui quel prato era di quello strano colore era semplice, tempo prima in quella zona aveva sede una famosa ditta di polverine magiche per fate, ma siccome era emersa la grave tossicità delle suddette polveri e l’effetto devastante sulla natura circostante, la ditta era stata chiusa. Quindi i nostri inconsapevoli protagonisti si trovavano su di un campo altamente tossico, incantati da tanta bellezza.
Meravigliati da quello spettacolo tanto particolare snobbarono totalmente un cartello all’ingresso del prato, su di esso c’era scritto che proseguendo sempre dritti si poteva andare o alla ‘Grande città dove succedono grandi cose!‘ o al ‘Famoso ospedale così grande da essere chiamato città‘, e a quest’ultimo vennero portati d’urgenza dopo essere clamorosamente svenuti causa inalazioni involontarie di erba blu.
Quando si ripresero si ritrovarono in quello che più di un ospedale aveva l’aspetto di una città, se avessero potuto leggere il nome proprio dell’ospedale avrebbero saputo che era una cosa risaputa, ma meravigliamoci dell’esattezza delle loro considerazioni conoscendo la loro conclamata ignoranza riguardo le cose del mondo.
Quel posto era così grande che ci si poteva trovare di tutto, dal mago ingessato dopo che il suo coniglio si era rifiutato di fare lo spettacolo del ‘Cilindro estratto dal coniglio‘ e aveva fatto sentire le sue ragioni usando un cric, alla fatina in riabilitazione che era stata beccata a fare magie in stato di ubriachezza. Peccato che Pollo non potesse vedere quest’ultima cosa, altrimenti ci risolveremmo buona parte del racconto.
Passati alcuni giorni e finalmente tornati in forze, Pollo e compagno si misero a gironzolare per l’ospedale in cerca di qualcosa da fare, e avvenne proprio ficcanasando in giro che ebbero il più grande spavento della vita, un cane parlante! Il Grande Botolo, l’incredibile cane ventriloquo, ci tenne a precisare che sentirlo dire da un pollo parlante, per giunta trasformato in un bambino vero, era una cosa ben strana. “Ma come cacchio fanno a saperla tutti ‘sta storia?!” disse Pollo privato come al solito di una degna presentazione misteriosa tipica del protagonista di un racconto.
A parte questa piccola parentesi comica, vi riporto la spiegazione che il Grande Botolo diede ai nostri beniamini su come potesse un cane definirsi Incredibile Ventriloquo:
Anzitutto all’inizio volevo definirmi ‘Vantriloquo’, però la gente a furia di sentirmi vantare usando un pupazzo si scocciava. Allora visto che ero un cane parlante, una cosa francamente mediocre, decisi di lanciarmi, avrei fatto parlare i cani che non parlano!
Il mio spettacolo quindi è semplice, vado in una città, mi metto in una piazza e comincio a rompere le scatole alla gente dalla mattina alla sera dicendo loro che tra pochi giorni potranno vedere il Grande Botolo in azione. Giunto il giorno stabilito, e finiti gli applausi iniziali di incoraggiamento dal pubblico, chiedo se tra il medesimo ci sia un cane che non parla. Se c’è comincio il mio spettacolo, mi metto dietro di lui e mentre quello fa finta di parlare io da dietro faccio quello che fanno normalmente i ventriloqui, dico battute e palpo il sedere al cane che mi sta davanti. Finita la scenetta, ed evitata la denuncia per molestie con un’altra serie di battute questa volta senza palpeggiamenti strani, saluto il pubblico, dico quanto siano stati bravi nello stare seduti e me ne vado. Ma ci sono volte in cui non si trovano cani non-parlanti tra il pubblico, anche perché ad essere sinceri qui da noi di cani che non siano logorroici ce n’è pochi. In quei casi allora devo spiegare al pubblico quello che avrei fatto se ci fosse stato un cane senza l’uso della parola tra loro, e quando ho finito giù applausi sulla fiducia. Così capite che non potevo fare altro se non definirmi ‘Incredibile Ventriloquo’!

Pollastrello prese coraggio e disse al cane parlante: “Però su di te mi rimane ancora un dubbio, come mai sei finito qui?” “Semplice caro amico pennuto e compagno nel parlare” disse BotoloDurante il mio ultimo spettacolo diciamo che il pubblico non è stato molto contento della versione senza cane parlante e così un simpaticone mi ha fatto fare il gioco del ‘Cilindro estratto dal coniglio’. Peccato che non avevo un cric come tanti conigli prima di me, sennò altro che essere io a dover venire qui per capire dove cacchio è finito quel dannato cilindro! E pensare che tra pochi giorni devo andare a fare uno spettacolo dal Grande Mago Bob“. Pollo drizzò le orecchie da bambino vero, cosa che se era ancora un pollo normale sarebbe stata strana davvero da descrivere, e chiese al nuovo amico se per caso avesse bisogno di due assistenti.
Alcuni giorni dopo dall’ospedale uscirono un cane con in testa un cappello a cilindro, regalo di un suo fan diceva lui, un bambino vero con aria soddisfatta ed un pollo magrolino che continuava a segnare l’ora esatta facendo: “Bip! Bip!“.

Ci misero 3 giorni ad arrivare nella ‘Grande città dove succedono grandi cose!‘. Non tanto perché la strada fosse lunga, la città era solo allo svincolo successivo della ‘Grande strada che poi sarebbe un’autostrada ma noi la chiamiamo comunque la strada di finto oro‘, ma a causa del Grande Botolo, che prima di un incredibile ventriloquo era pur sempre un cane, e quindi si fermava a segnare il territorio ogni due metri.
Sciocchezze a parte, la ‘Grande città dove succedono grandi cose!‘ era per l’appunto grande, ma non semplicemente grande, che son buone tutte ad esserlo, era proprio GRANDE! Roba che i 3 protagonisti, dal basso delle loro poche capacità d’orientamento, si persero in men che non si dica. Calcolando poi che si fermarono a chiedere a gente balorda che ne sapeva meno di loro, la storia sarebbe infinita. Sennonché apparve una vecchia ubriaca con patentino riconosciuto di guida per turisti che si sono persi. “Di solito non sono così vecchia!” esordì la vecchia ubriaca. “Se sai come portarci dove vogliamo andare per me puoi essere ciò che vuoi” sentenziò Pollo. E francamente, sapendo io ciò che voi manco immaginate, e vale a dire il futuro, se ne ebbero a pentire.
Anzitutto” cominciò la guida “ovunque voi dobbiate andare, prima vi farò fare un giro della città” e tutti giù a dire: “Se proprio dobbiamo, ok“. “Poi, per esperienza personale, sappiate che qualsiasi sia la vostra meta sarà l’ultimo posto in cui andremo, e soprattutto il più lontano!” e lì ci fu qualche esternazione alquanto irripetibile. “Ed infine al termine del tour, comunque sia andata la cosa, voglio essere pagata in natura” e giù bestemmie, pentimenti e strani certificati medici di incerta salute fisica apparsi da chissà dove. Ad ogni modo, estratto a sorte il povero Pollastrello come futuro amante della guida, partirono decisi a farsi dare udienza dal Grande Mago Bob.
Prima tappa la taverna dello ‘Gnomo Alticcio‘, dove la guida era ben conosciuta. Poi venne la ‘Stamberga della Vecchia Ciabatta Alcolemica‘, e anche lì era conosciuta benissimo. Poi sosta dal ‘Gomito Alzato e Pure Parecchio‘, e lì i nostri decisero di essere abbastanza ubriachi da poter fare da soli. Naturalmente prima Pollastrello ci diede dentro con la vecchia, perché va bene che non erano arrivati dove volevano, ma i patti sono patti.
Dopo una breve sosta in un bagno pubblico, dove Pollastrello si fece la doccia con qualsiasi prodotto detergente esistente, continuarono la loro avventura, anche se da allora Pollastrello non fu mai più lo stesso, appena vedeva una donna anziana cominciava ad urlare come un matto: “No, basta, ti prego almeno usiamo la vaselina!

Liberi da una guida dalla sessualità e alcolismo prorompenti si ritrovarono di nuovo persi, ma per fortuna questa volta erano ubriachi al punto giusto da trovare la strada per puro caso. Bisogna infatti sapere che quando si è ubriachi succedono le cose più incredibili, tali che una volta sobri si crede di aver solo sognato, e il più delle volte si finisce come i nostri beniamini nel punto più meraviglioso dell’intera città, nel loro caso sulla punta dell’unghia di un gigantesco pollice alzato. Vi fornirò ora un piccolo excursus storico per capire come cacchio fosse possibile l’esistenza di un monumento simile:
Quando la ‘Grande città dove succedono grandi cose!‘ era soltanto il ‘Piccolo paese dove succedono cose del tutto normali‘, c’era bisogno di un capo ma nessuno voleva prendersi quella grana.
Arrivò un giorno da molto lontano un uomo che diceva di saper fare grandi cose. Le fece e fu subito apprezzato da tutti. Ben presto venne gente da ogni dove per vedere quelle grandi cose e tutti vollero abitare nella sua stessa città, che quindi finì con il divenire molto grande.
Alla fine si decise di creare un intero regno per farci stare tutti i visitatori e lui ne sarebbe stato il grande capo. Nacquero così il ‘Paese delle cose talmente assurde che è meglio dargli nomi lunghi così la gente se le scorda‘ e la ‘Grande città dove succedono grandi cose!‘. Se poi vi chiedete se quel tizio fosse il Grande Mago Bob la risposta è sì, mentre se la domanda è su cosa diavolo fossero le grandi cose, allora sappiate che erano così grandi da non starci su una piccola pagina di carta, che oltretutto ha solo due dimensioni e ci si perderebbe tutto il divertimento dei fuochi d’artificio di contorno, della banda musicale di soli suonatori di nacchere e dell’incontro finale di Direttori d’Orchestra Mascherati versus Critici Musicali Dichiaratamente Malvagi. E questo era solo l’intrattenimento aggiunto per i gonzi, figurarsi le GRANDI COSE!
Comunque, in memoria di quel giorno glorioso fu fatto un altrettanto famoso quadro in presa diretta del Grande Mago Bob esultante, ma con tutti gli impegni da svolgere si decise di limitarsi al semplice pollice alzato. Il resto era bello ma molto meno efficace di un semplice e perfetto segno di alzare di più i gomiti per brindare a se stessi, incredibili partecipanti ad un evento che i posteri invidieranno mangiandosi le mani per non aver deciso di nascere prima. E quel quadro sbrigativo venne poi usato per realizzare la famosa statua.

Ad ogni modo eravamo sul balcone a scopo turistico posto sull’unghia del ‘Grande pollice del Grande giorno della Grande città dove succedono grandi cose!‘, e i nostri stavano superando di botto la sbornia vedendo di fronte a loro, al centro esatto della città, il ‘Grande palazzo che tutti guardandolo restano sconvolti‘. Era il palazzo del Grande Mago Bob, la loro meta ultima, e soprattutto era solo a una decina di chilometri di infiniti labirinti di stradine tortuose, proprio davanti a loro. Dopo due giorni di giri dell’oca, rifiuti nel chiedere indicazioni, corse sul posto tanto per fare qualcosa, arrembaggi ai bruscolinari dei cinema locali e svariati gesti inconsulti dettati dalla pazzia indotta dal semplice cercare di arrivare in un posto famosissimo e ben segnalato dall’Ente per il Turismo locale, senza per altro arrivarci manco pregando in aramaico antico, giunsero alla tanto desiderata meta.
Alt! Fatevi riconoscere, e se proprio non volete farlo almeno dateci un aiutino nel capire chi siete“. La voce proveniva da una piccola salsiccetta da cocktail vestita da guardia affiancata da un’altra salsiccetta del tutto uguale alla prima. Avevano una piccola corazza, un piccolo elmo e una piccola lancia, e le piccole armi erano puntate proprio ai colli di Pollo e compagni. Le piccole guardie avevano la faccia da rimbambite ma il loro mestiere lo sapevano fare bene.
Il momento sembrò eterno. Che fare? Raccontare palle su palle e sperare che gli andasse di fortuna come nella maggior parte delle storie esistenti su strani mondi di fantasia, o tentare una sortita nel più classico dei metodi da film d’azione? In quella, per loro fortuna, arrivò un elemento di sorpresa a salvarli. La vecchia guida ubriacona riapparve all’improvviso al loro fianco. “Come vi avevo promesso eccoci arrivati a destinazione“. Il pestaggio da parte dei protagonisti fu inevitabile.
Ripresisi tutti dalla gran sfuriata, e la vecchia dalle bastonate, quest’ultima si fece avanti e parlò con le piccole salsiccette a guardia dell’ingresso del palazzo del Grande Mago Bob. Dopo aver farfugliato qualcosa sul fatto di essere una persona importante non attesa ma che sarebbe stata certamente attesa se fosse stata attesa, riuscirono ad entrare. Ad aspettarli all’interno c’era una piccola salsiccetta vestita da maggiordomo: “Vi prego di seguirmi, il Grande Mago Bob vi aspetta“. E giù a camminare lungo un infinito corridoio alle cui pareti c’erano centinaia di gigantografie di un uomo in posizioni alle volte di potere, altre di intervento miracoloso, altre di affermata piacioneria ai limiti dell’ambiguo, ma sempre artisticamente piacevoli.
Arrivati in fondo al corridoio si trovarono di fronte una porta enorme. Il maggiordomo la aprì e i nostri con la vecchia guida si trovarono finalmente di fronte all’uomo che tanto avevano agognato incontrare, oltretutto il modello per le gigantografie precedenti, il Grande Mago Bob.

Grandi saluti a tutti voi, genti venute da grandi distanze. Fatemi sapere i vostri desideri e li realizzerò con i miei grandi poteri!“, “Finalmente potrò tornare un normalissimo pollo” disse Pollo. “Beh, naturalmente prima di realizzare i vostri desideri dovrete farmi un piccolo favore” disse il Grande Mago Bob, “E te pareva” disse sconsolato Pollo. “Dovrete affrontare una grande prova per poter avere accesso ai miei grandi miracoli. Dovrete sistemare per me un conto che ho in sospeso con il creatore della realtà del nostro mondo” disse Bob “Un rompiballe di prima categoria. Dovete infatti sapere che io governo su questo nostro grande paese, ma visto che quello sconsiderato insiste nel creare nuove cose significa che io devo continuamente stare qui a gestire nuove grane. E per me significa non aver tempo per il mio grande bisogno di farmi gli affaracci miei!“, “Va bene” disse PolloDicci dove si trova questo tizio e vedremo di farlo smettere di creare nuova realtà“. “Prima di tutto il tizio in questione si chiama Napotne, e seconda cosa vive nell”Isola dove tutto è senza senso‘. Ultima cosa, che forse non avete ancora capito, dovrete farlo smettere sì, ma per farlo dovrete ucciderlo!“. “Senti, se poi mi ritrasformi in un pollo per te farò qualsiasi cosa, fosse anche attraversare di nuovo tutto questo paese di matti o eliminare un pirla dal nome impronunciabile!” e detto questo Pollo e compagni partirono per l”Isola dove tutto è senza senso‘, non prima di essersi liberati della vecchia guida ubriacona.

Per prima cosa bisogna sapere che l”Isola dove tutto è senza senso‘ è introvabile se la si cerca, ma ci si può tranquillamente incappare se si cerca tutto il resto che non sia quello. Quindi i nostri appena usciti dal palazzo cominciarono a non cercare l’isola ma intrapresero la ricerca di tutto ciò che per l’appunto non era l’isola. In men che non si dica si ritrovarono su di una spiaggia dove tutti prendevano il sole vestiti con pellicce e colbacchi.
Sappiate che sull”Isola dove tutto è senza senso‘ niente ha un senso, anche perché se fosse stato il contrario mi chiedo quale mente malata avrebbe pensato di darle un nome così balordo. Sulle sue spiaggia la gente che ci abita prende il sole completamente vestita, negli appartamenti dei palazzi la gente gioca partite di calcio valide per le qualificazioni ai mondiali del ‘Calcio da Casa Privata‘ e nei giardini pubblici la gente va a dormire. Almeno lo fanno la maggior parte di loro, ma come in qualsiasi altra parte del mondo c’è chi può permettersi di dormire sui tetti all’attico dei palazzi, che è comunque un sano e comune dormire all’aperto, ma con più classe rispetto agli altri.
Ad ogni modo quello che ci interessa per finire questa assurda storia è trovare Napotne, il creatore di realtà, quindi saltando qualche avventura strana come la pazzia di Pollastrello che disse di essere in ritardo di alcune ore causa fuso orario, ricomincerò a descrivervi l’avventura di Pollo e degli altri suoi compagni da quando trovarono colui che stavano cercando.

Quando i nostri eroi trovarono Napotne, egli se ne stava tranquillamente a farsi gli affari propri su di una collina in mezzo ad un tumulto di strane creaturine appena create. Napotne, il Creatore di realtà, una volta conosciuto anche come lo Scrittore a tempo perso, creava la realtà scrivendo assurdità. Il suo motto era ‘Absurdo ad Astra‘, o meglio ancora ‘Se continui a crearti mondi tuoi finisce che quelli si credono chissà chi e magari diventano pure veri!‘, era sempre indeciso tra le due frasi. In verità il problema era quale delle due fosse meglio come epitaffio sulla sua lapide, un’indecisione che lo distraeva dal morire finendo così con il renderlo tecnicamente immortale. Praticamente un matto senza la minima decenza verso la realtà della vita.
Pollo si avvicinò al vecchio scrittore miracoloso e gli domandò se per cortesia potesse farla finita con il vivere. Che lui in realtà era un pollo e voleva tornare ad esserlo. Napotne senza neanche pensarci disse: “Ma certo, ma certo. Per citare me stesso dirò ma certo. Se posso aiutare qualcuno ben venga che mi decida a scegliere quella benedetta frase da epitaffio che mi rovina la vita, o forse la non-vita, da così tanto tempo che francamente potrei aver fatto il giro del tempo un paio di volte“. Pollo non pensava che gli sarebbe andata così liscia, già si vedeva a dover affrontare se stesso in una lotta di morale sull’uccidere un povero vecchio matto per il proprio bene o lasciarlo vivere e far pesare agli altri la sua dolorosa scelta con un pistolotto finale sui buoni sentimenti e le azioni altruiste. Comunque meglio così. “Però prima di morire” aggiunse NapotneVoglio raccontare la mia ultima storia“, “Ed eccoci ancora una volta a dover ascoltare un vecchio matto…” aggiunse demoralizzato Pollo.
Questa è la storia di una persona senza nome, che per questo motivo non poteva morire.
All’inizio dei tempi, quando le cose che esistevano erano ancora poche, già la Morte rompeva le scatole a tutti quelli che incontrava. Così una giovane coppia in procinto di avere un figlio ebbe una brillante idea, andare da una strega locale e vedere se esistesse un modo per salvare almeno il loro bambino dall’inevitabile fine. La strega gli disse che un modo c’era, se il bambino non avesse avuto nome la Morte non avrebbe potuto prenderlo allo scoccare della sua ora, perché solo chi è nella lista dei vivi può morire e per entrarci devi per forza avere un nome. Per gli animali invece la questione è diversa, loro vanno un tanto al chilo come al supermercato.
La giovane coppia fece come gli fu detto e infatti anche dopo molti secoli ecco che il bambino senza nome, ormai diventato uomo da parecchio tempo, ancora se ne andava tranquillo per il mondo. Ma d’un tratto la Morte in persona gli apparve davanti e disse: “Tu che osi sfidarmi non morendo, chi sei?”, l’uomo rispose di non avere nome. La Morte s’incazzò parecchio. “Io ti obbligo ad avere un nome, perché ogni cosa che vive prima o poi è destinata a morire”.
L’uomo avrebbe potuto fregarsene altamente della Morte e delle sue minacce a vuoto, ma erano già un secolo o due che anche lui pensava di volere un nome tutto suo. Adesso, con l’apparizione della Morte, avrebbe avuto un buon pretesto per andare avanti nella questione. “Va bene” disse “troverò un nome e quando l’avrò fatto decideremo in merito alla mia morte” e detto ciò andò per il mondo a cercarne uno che lo rappresentasse. Cercò e cercò, percorse strade sconosciute, attraversò mari che sembravano infiniti, raggiunse luoghi ai confini del mondo, ma ancora nessuna idea. Alla fine si decise a scalare la montagna più alta che fosse mai esistita, per cercare risposte là dove nessuno era mai arrivato. Salito che fu sulla cima inveì contro il cielo per avere una risposta sul suo nome. Neppure gli dei risposero alla sua richiesta. Allora costruì una lunga scala e andò in cielo lui stesso, lo percorse in tutta la sua vastità ma non vi trovò neanche l’ombra di una risposta, così si lasciò andare.
Cadde in una valle senza vita e là aspettò la Morte. Ma ecco che una notte sentì dei rumori lontani, si avvicinò per capire cosa fossero e raggiunto il luogo da dove provenivano quei suoni vi trovò un uomo che ballava nudo al chiarore della Luna. L’uomo lo vide e gli chiese: “Hai mai danzato nudo al pallido plenilunio?” e l’uomo senza nome, come colto da illuminazione, si spogliò e cominciò a ballare nudo anche lui. Quando la Luna scomparve dal cielo, lasciando il posto alle profondità della notte, i due accesero un fuoco e cominciarono a parlare dell’immensità del mondo, della vita, del segreto bisogno dell’umanità di trovare la propria identità. Arrivata l’alba il danzatore nudo disse di avere trovato un nome che mai nella storia del mondo si era udito: Brio de Topola.
Adesso che aveva un nome Brio de Topola chiamò la Morte a sé e arrivata che fu le disse: “Ora ho un nome, e con esso ho compreso me stesso e il motivo per cui tu non puoi avermi”, “Solo la Morte non conosce la fine, ora hai un nome e con esso anche tu seguirai la sorte di tutti gli altri esseri viventi” sentenziò la Morte. “Non sono mai stato come gli altri e non lo sarò neanche adesso. Ho viaggiato per terra e cielo, ho visto i confini del mondo e conosciuto tutto ciò che esiste in essi, ma adesso voglio andare oltre e tu non mi fermerai” fece testardo Brio de Topola, “Tutti sono limitati, è la forza e la maledizione dei mortali. Io sola non conosco limiti e per quanto tu non voglia morire sei comunque destinato alla fine sin dal momento in cui hai cominciato ad esistere entro i confini che disprezzi. Come tutti sei anche tu limitato alla forma della realtà che ti contiene, e se questa forma è la mortalità devi accettarla” disse la Morte sempre più adirata. “Una volta ho sentito che l’acqua non ha forma”, disse Brio de Topola rimanendo calmo, “prende quella del contenitore che la contiene. Io dico che l’acqua ha una sua forma, ma chi come gli uomini non vede che i limiti della realtà che li circonda non può altro se non vedere la forma del contenitore. Anche quando è contenuta l’acqua mantiene la sua forma, perché ha tutte le forme che esistono nell’infinito. L’acqua è infinta, siamo noi che cerchiamo di limitarla chiamandola mare o pioggia o cercando di contenerla in qualsiasi oggetto che ci venga in mente. Ho avuto un’illuminazione, non ho mai avuto un nome, non ho mai contratto me stesso in un essere definito. E ora che sono di fronte al limite ultimo non vedo perché dovrei smettere di essere il me stesso che è infinito. Voglio conoscere tutto, superare i limiti del mondo e andare ancora oltre. Non sarai tu a fermarmi. Allora cosa rispondi Morte?” “Io dico…”
” “Basta!” urlò Pollo, “Ovunque io vada c’è qualcuno che mi costringe a subire qualcosa, cambiamenti fisici, compagnie indesiderate, racconti privi di senso, pistolotti infiniti, ma adesso basta! E poi se ci lasciamo un po’ di mistero vedrai che questa storia acquisterà in fan incastrati su quale cacchio di discorso possano fare due creature della tua mente malata su un argomento francamente senza una conclusione possibile!” E detto questo scelse per Napotne una frase da epitaffio e con essa il Creatore di realtà smise di esistere. Per la cronaca, la frase fu: ‘Se son rose fioriranno, se son problemi passeranno, se son rotture di balle c’è una forte probabilità che ti accopperanno!

Eliminato chi dovevano, i nostri amati protagonisti tornarono velocemente alla ‘Grande città dove succedono grandi cose!‘, rapidamente presero una guida, ma per fortuna non l’ubriacona dell’altra volta, e si fecero portare alla svelta al palazzo del Grande Mago Bob. Qui letteralmente fecero volare via le guardie salsiccette, oltrepassarono il maggiordomo camminandoci sopra, e lui fu così cortese da ringraziarli pure, ed entrarono con fare da duri nella stanza dal Grande Mago.
Abbiamo fatto quello che volevi tu, ora dacci quello che vogliamo noi!“, “Bene bene” disse il Grande Mago Bob, “Pollo, per i tuoi grandi meriti, e soprattutto per avermi tolto una gran rottura di scatole, ti concedo un desiderio. Dimmi ciò che vuoi e l’avrai“. “In tutta questa vicenda” disse Pollo tutto serio, “ho imparato un grandissimo insegnamento. Bisogna sapere ciò che si cerca o si finirà solo con il ritrovarsi in casini sempre maggiori. Pensavo di dover trovare un’identità che invece è sempre stata dentro di me. Davo per scontato di aver trovato tutti gli amici di cui avevo bisogno, ma molti altri ne ho incontrati lungo la mia strada. Credevo il mondo iniziasse e finisse nella mia piccola casa, ma le storie di tanti matti mi hanno illuminato. E allora adesso darò ascolto a quella piccola voce che è in ogni pollo ma che nessuno di loro vuole mai ascoltare. La voce del cambiamento che adesso mi impone di desiderare sempre di più, di realizzare i miei sogni più segreti. Voglio diventare l’Imperatore del ‘Paese delle cose talmente assurde che è meglio dargli nomi lunghi così la gente se le scorda‘!
E fu così che Pollo diventò un imperatore vero, Pollastrello per i suoi grandi meriti di servitore fedele ottenne la promozione a radiosveglia imperiale e il Grande Botolo ebbe le conoscenze giuste in alto loco per poter fare un grande successo nel mondo dello spettacolo. Per il Grande Mago Bob il finale fu strano, ottenne ciò che voleva anche lui ma stranamente non ne fu contento. Grazie alla presenza di un imperatore lui non serviva più come capo del regno e così aveva tutto il tempo libero necessario per fare ciò che più voleva. Però ciò che più voleva era proprio essere a capo del regno, quindi diciamo che fu esaudito anche il suo desiderio come quelli di tutti gli altri e finiamola lì. Gnaaargh! e Sabrina invece sono, o furono visto che ho sempre usato il passato, il finale buonista della storia. Si trovarono, si amarono. Qualcuno a mo’ di leggenda, o racconto di paura per bambini, disse anche che si riprodussero e vissero per sempre felici e contenti.

Per quanti ancora leggono e si stanno chiedendo se io mi sia deciso a rivelare il motivo per cui la maledizione di Pollo era evidente a tutti, scriverò quanto segue:
All”Università delle fate che ti incasinano la vita a tradimento‘, Brigida Porporinelli aveva ottenuto la laurea in ‘Desideri e Trasformazioni‘, poi aveva cominciato a bere e non aveva più smesso. Mentre lei faceva carriera nei migliori pub locali, un piccolo tacchino cresceva triste, aveva un sogno nel cuore che temeva essere irrealizzabile. Si chiamava Tarcisio e ogni notte, prima di andare a dormire, si affacciava alla porticina del suo pollaio e guardando il cielo stellato desiderava diventare un bambino vero.
Passati alcuni anni Brigida aveva finalmente trovato un lavoro sul campo nella realizzazione dei desideri. Essendo ancora in prova era solo nel ramo ‘Animali da Cortile‘, ma se fosse riuscita a non combinare casini con i primi desideri presto avrebbe potuto passare ad un grado superiore. Tuttavia i se sono grandi come case e per l’appunto contro una di quelle andò a schiantarsi, sbagliando clamorosamente le coordinate d’atterraggio. Invece di esaudire finalmente il desiderio del povero Tarcisio, la fata ubriacona finì con il trasformare un altro pennuto in un bambino vero, scatenando così un’avventura altrimenti impossibile.
Non sapendo di aver commesso un errore, Brigida era così contenta della sua prima impresa che per festeggiare si diede alla più colossale delle ciucche. Andò in giro per tutto il ‘Paese delle cose talmente assurde che è meglio dargli nomi lunghi così la gente se le scorda‘ a menarla a tutti quelli che incontrava su ciò che aveva fatto con dovizia di particolari, dicendo anche che aveva reso il suo primo lavoro riconoscibile grazie ad un piccolo trucco: “Di polli e bambini veri ce n’è tanti al mondo” diceva, “ma questo in particolare ha l’aspetto di un bambino e l’ombra di un pollo. Diventerò famosa!” E alla fine, dopo giorni di stremante alterazione festaiola, finì nel ‘Famoso ospedale così grande da essere chiamato città‘. Se Pollo l’avesse trovata là forse ora non dovrei raccontare le cose che scrivo qua. Ma tant’è, quindi andiamo avanti con la fine della storia.
Brigida, una volta uscita dall’ospedale, ritornò al suo lavoro continuando a combinare casini. Pollo come sappiamo divenne imperatore, e Tarcisio? Beh, diciamo che anche se non divenne un bambino vero l’allevatore fu così tanto buono con lui da fargli una grande festa, proprio nel periodo delle festività natalizie. C’è chi senza volere finisce alle stelle e chi pur desiderando finisce in padella.

Giantordo si svegliò quella mattina con un gran brutto mal di testa. Quella notte aveva avuto un sogno stranissimo, popolato da polli assurdi con tanto di nomi e uso della parola, tacchini sfigati, cani ventriloqui, zombie e gentaglia bruttissima che viveva chissà perché in un centro commerciale dentro ad un bosco.
Per lui quell’incubo fu un importante insegnamento: Non avrebbe mai più letto i propri racconti prima di andare a dormire. Quella roba rende matti!

FINE

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