Mullet Pich

L’Uomo, la Bestia ed il Mare

Avvertenza
I nomi dei personaggi e dei luoghi sono stati cambiati, sono state cambiate le descrizioni inerenti all’aspetto dei personaggi e sono state tolte molte persone reali sostituite con personaggi di pura fantasia. I resoconti sui tempi e i luoghi di questi avvenimenti, fondamentali per una loro localizzazione temporale e spaziale precisa, sono stati eliminati. Tutto questo per una richiesta esplicita del mio vicino di casa a cui certe cose non interessavano.

Prologo
Questa storia ha inizio in un tempo lontano, in cui i mari erano infiniti, le acque nascondevano creature misteriose e invincibili, e i marinai erano senza paura. Un tempo in cui c’era un giovane mozzo su una piccola trigliera in mezzo al Mar dei Caraibi, un ragazzo che un giorno sarebbe diventato un grande personaggio controverso del panorama avventuriero-letterario.
Il mozzo stava sulla prua della nave cercando di pescare qualcosa per la cena, quando ad un tratto la canna da pesca venne strattonata. Il colpo fu così forte che la lenza si spezzò di netto. Il ragazzo si sporse e vide il galleggiante fermo nell’acqua, d’improvviso un ribollire tremendo intorno ad esso, poi uno spruzzo d’acqua e con quello una triglia enorme che saltò sulla nave.
Era una belva terrificante, di almeno mezzo metro e dalle squame color del fuoco. Con lo sguardo minaccioso fissò il mozzo, fece un verso agghiacciante, da demone. Il ragazzo ne rimase sconvolto e fu a quel punto che la triglia gigantesca gli strappò una pellicina del pollice della mano destra, facendo schizzare una cascata di sangue per tutta la nave. Fu così che il giovane marinaio fece la sua terribile promessa: Avrebbe solcato l’intero Mar dei Caraibi alla pazza e schizofrenica ricerca di vendetta e soddisfazione, questa volta sarebbe stato lui a mangiarsi un pezzo della temibile creatura. Mullet Pich, la Grande Triglia Rossa!

Capitolo I – L’inizio
Giunto alla fine della mia vita di pescatore di frodo, io, Hashishmael, ex mozzo della Quìperquod, mi accingo a narrarvi la triste storia dello scontro tra un uomo e una creatura figlia del mare e del Demonio.

Correva l’anno milleottocentoqualcosa, allora dovevamo dire ‘qualcosa‘ alla fine di qualsiasi anno perché nessuno aveva tempo per ricordarsi degli stupidi numeri. Mi ricordo ancora come se fosse ieri quando entrai a far parte dell’equipaggio del capitano Màcak sulla trigliera Quìperquod, era una notte con un sole meraviglioso, come al solito mi ero pesantemente ubriacato ma quella volta avevo davvero esagerato. C’era il circo in città e io mi ero innamorato perdutamente della donna cannone, non avendo il coraggio di dichiararmi mi ero dato all’alcol. I risultati furono vari, un cazzotto in un occhio da parte del marito della mia amata, il tatuaggio della medesima a grandezza naturale su buona parte del mio corpo, ed infine la decisione di imbarcarmi su quella che venne fuori essere la nave del più pazzo e schizofrenico capitano di tutta la flotta di trigliere presenti al porto!
Quando la mattina successiva mi resi conto di cosa avevo fatto era ormai troppo tardi, il capitano Màcak aveva dato l’ordine di salpare e così cominciò la mia parte in questa folle avventura.

Capitolo II – Il discorso della partenza
Signori!” disse il capitano, “Voi siete i migliori! Vi ho scelti personalmente uno per uno tra gli ubriaconi più incapaci di intendere e volere presenti al porto. Sono sicuro che faremo grandi cose insieme, soprattutto realizzare quella che sarà la mia più grande impresa, catturare Mullet Pich, la Grande Triglia Rossa!
Mi ricordo che pensai a quanto sembrasse stupida quell’idea di catturare una triglia e diventare famoso, e proprio in quel momento Màcak mi fissò con il suo sguardo da matto e proferì le ultime parole del suo potente discorso: “In questa impresa o ci si crede o ci si attacca!!
Sembrava aver sentito le mie parole. Da allora non mi azzardai mai più a pensare ad alta voce quando ero in sua presenza.

Capitolo III – I primi giorni di viaggio
Salpammo così dal porto di Qualchecosa diretti verso le zone di pesca. Come avrete notato non usavamo neanche i nomi veri delle città, le trovavamo cose troppo insignificanti da perderci tempo a ricordarle.
Comunque i primi giorni di viaggio furono stupendi, piovve a dirotto per tutto il tempo. Più che una trigliera la nostra nave sembrava una piscina galleggiante. Per quanto riguarda l’equipaggio poi stavano tutti una favola, per la maggior parte erano malati di scorbuto, peste bubbonica e colera, e quando alcuni diedero segno di essere tendenti all’amore diverso il viaggio fu ancora più divertente, infatti nessuno dormiva più per guardarsi le spalle. Per il resto andava tutto più che bene, i topi erano abbondanti e le zecche non mancavano mai. Il cibo invece era finito nel giro di una settimana ma si sa come vanno queste cose, ti sembra di aver organizzato tutto e poi una volta partiti scopri sempre di aver dimenticato qualcosa a casa.

Capitolo IV – L’arrivo al Mar dei Caraibi
Quando arrivammo al Mar dei Caraibi, peraltro l’unico nome vero che scriverò in tutto il racconto, cominciammo a festeggiare. Erano settimane che non mangiavamo e quella era la più grande riserva di caccia alle triglie mai esistita. Neanche il tempo di organizzarsi e già un paio di marinai avevano tirato fuori le reti pregustando il lauto pasto. Quando ecco due fiocine arrivare da chissà dove e colpire i poveri uomini alla schiena. Dietro di noi il capitano Màcak aveva ancora il braccio alzato. Ci guardò tutti con occhi di fuoco. Un mozzo bruciò vivo sul posto.
Non siete qui per mangiare! Vi pago per catturare Mullet Pich. Solo quando l’avremo catturata potrete divertirvi!” e detto ciò ritornò nella sua cabina.
Quella sera a cena ci accontentammo di due marinai allo spiedo ed un mozzo troppo cotto.

Capitolo V – Finalmente il primo avvistamento
Passarono giorni senza che ci fosse nessuna traccia di Mullet Pich. Eravamo tutti demoralizzati, quando finalmente un mattino l’avvistammo. Da prima vedemmo un ribollire nel mare, poi emerse una testa color dell’Inferno. Ecco Mullet Pich, la figlia del Demonio, che guardava verso la nostra trigliera. Il capitano salì sul ponte richiamato dalle nostre grida e fu a quel punto che l’uomo e la bestia incrociarono i loro sguardi. Avevano entrambi gli occhi ricolmi d’odio.
Nell’eccitazione del momento alcuni di noi fecero la sciocchezza di calarsi in mare usando le scialuppe. Mullet Pich ne affondò una, e poi un’altra, a quel punto cominciammo a lanciare fiocine dalla nave. Chi era sopravvissuto alla furia della Grande Triglia Rossa morì per la nostra stupidità.
Mullet Pich scappò, e quella stessa notte il capitano Màcak ci fece capire a frustate che la fretta è una cattiva consigliera. L’unica consolazione fu che anche quella sera cenammo con degli ottimi spiedini di carne.

Capitolo VI – Dally-Oh
Stavamo solcando il Mar dei Caraibi in lungo e in largo in cerca della nostra preda, quando scoprimmo un banco enorme di triglie morte. Poco più avanti ne scoprimmo la causa, una fabbrica che scaricava i suoi rifiuti chimici in mare. A questo punto sorgerà spontaneo in ognuno di voi pensare che sto delirando parlando di tecnologie moderne in tempi remoti, ma mi trovo costretto a darvi degli stupidi se ritenete che cose del genere non capitassero allora. Cosa credete, che i problemi di oggi non esistessero anche nel passato? Che i rifiuti chimici e nucleari siano una novità degli ultimi anni? E di questo passo verrete anche a dirmi che nel milleottocentoqualcosa non esistevano aerei o cellulari! Crescete e studiate meglio la storia, eviterete così di abboccare alle storie fasulle come questa!
Comunque vi dicevo che avevamo trovato dei pesci morti, così quel giorno festeggiammo con una bella scorpacciata di pesce e finimmo tutti con una bella indigestione da prodotti contaminati…
Eravamo tutti sul ponte a rotolarci dal dolore quando arrivò il capitano, quell’uomo era così preso dalla sua vendetta da non permettersi neanche di stare male. Quella volta devo ammettere che si comportò in maniera gentile, visto che stavamo tutti male decise di raccontarci una storia: “Sentendo questo racconto capirete cosa vuol dire vendicarsi, e come me non sarete più vittime della vostra debole tempra” cominciò Màcak, “Questa è la storia vera di un marinaio chiamato Dally-Oh, e di come sopravvisse su un’isola deserta“. Mentre il capitano cominciava la sua storia io dovevo stare attento all’ufficiale di coperta, un omone di due metri per due perdutamente innamorato di me, quindi spero di potervi riportare tutta la storia come merita di essere ricordata:

C’era una volta una nave di mercanti, su di essa si era imbarcato un marinaio di nome Dally-Oh, era piccolo e magrolino ma non si tirava mai indietro quando c’era da fare.
Durante il lungo viaggio per mare la nave dei mercanti si trovò in balia di una tempesta tremenda. Morirono in molti e la stessa nave finì in pezzi. Quelli che sopravvissero si attaccarono ai resti dell’imbarcazione e del suo carico, e cercarono di arrivare sulla terra più vicina. Tra loro c’era Dally-Oh, attaccato ad un barile di mele. Prima di finire in mare era riuscito a pensare di salvare qualcosa da mangiare, così quando i naufraghi arrivarono su una spiaggia deserta lo festeggiarono con gioia. Poi lo scansarono e mangiarono il frutto delle sue fatiche. In quel momento Dally-Oh aveva il sorriso sulle labbra, ma in cuor suo giurò vendetta contro tutti loro, perché non gli avevano detto né ‘grazie’ né ‘per favore’.
Li uccise uno ad uno, e così come si erano mangiati le sue mele, lui si mangiò loro!
Quando una nave passò vicino all’isola, Dally-Oh fu tratto in salvo. Aveva il sorriso sulle labbra ed era bello grassottello.
Fine

Io ho perso una pellicina della mano destra per colpa di quella bestia infernale che vive laggiù nelle profondità del mare“, urlò Màcak, “Ora è giunto il momento che mi vendichi. Questa volta sarò io a moderla!
Sentite quelle ultime parole stavamo davvero tutti meglio. Avevamo capito cosa significava la vendetta. Per realizzare la sua vendetta il capitano aveva causato la morte di molti di noi, ci aveva ridotti alla fame, alcuni erano anche stati profanati dall’ufficiale di coperta! E per cosa? Perché lui la morsicasse?! Alla prima occasione Mullet Pich ci avrebbe avuti dalla sua parte!

Capitolo VII – La fine di Màcak
Il giorno dopo ricominciò la caccia alla Grande Triglia Rossa.
Dopo ore estenuanti finalmente vedemmo in lontananza le inconfondibili bolle che precedevano un attacco di Mullet pich. Ed eccola riapparire di nuovo di fronte ai nostri occhi. Màcak prese subito una fiocina, voleva essere lui a scontrarsi con la belva, e noi lo lasciammo solo. Il primo lancio andò a vuoto, così il secondo. A quel punto la belva era piena d’odio e saltò sulla nave per affrontare faccia a faccia il suo più acerrimo nemico.
I due rivali si avvicinavano sempre di più, ormai Màcak si sentiva in bocca il sapore della vendetta. Il capitano cercò di prenderla, la Grande Triglia Rossa lo scartò, Màcak si avventò sulla sua coda e quella si dimostrò troppo scivolosa per poterla afferrare a mani nude. Fu allora che il capitano chiese il nostro aiuto, ma noi gli voltammo le spalle. Mullet Pich affondò i denti sulla sua mano e lui urlò. Un suono che sembrava venire direttamente dall’Inferno. Molti di noi tremarono dalla paura, temevano di essere stati maledetti. Quelli di noi che erano ancora fermi nel proposito di vendetta spinsero lui e la Grande Triglia Rossa in mare. Tutto finì in un ribollire delle onde, e di loro non abbiamo mai più saputo nulla.

Capitolo VIII – Il viaggio di ritorno
Finalmente liberi da quel malato di mente di Màcak ci dirigemmo subito verso Qualchecosa, che sarebbe la città dell’inizio e sì, sono il primo ad ammettere che questa cosa dei nomi che non volevamo ricordarci è diventata completamente incomprensibile. Tornati a casa giurammo tutti di non raccontare mai nulla a nessuno di questa storia.
Molti anni dopo ho scoperto che potevo fare parecchi soldi scrivendo un diario su quella avventura e così eccomi qui a realizzare il sogno di Màcak, diventare famoso grazie a Mullet Pich.
Ho un unico rimpianto su tutta quella vicenda. Mi chiedo spesso cosa ne sia stato del capitano della Quìperquod e della Grande Triglia Rossa

Conclusione
Caro, lo sai che ti amo?” disse Mullet Pich, “Certo tesoro, ti amo anch’io” rispose Màcak. E vissero per sempre felici e contenti nelle profondità del mare.

FINE

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