Lo Strano Caso dell’Anello Tricolore

~Prologo~
Si alza il sipario. Applausi del pubblico. La scena è vuota ma si sente il suono acuto di un violino. Uno sguardo verso il basso ed ecco un piccolo topo vestito di tutto punto che sta suonando un piccolissimo violino.
Entra un uomo in giacca da camera, lo guarda, fa un sorriso e infine lo schiaccia. “Disney di merda!” dice stizzito, poi esce dalla scena.
Cala il sipario. Il pubblico se ne va dalla sala.
L’Ottocento fu un grande periodo dell’intelligenza umana.

02~08~1860 ~Introduzione~
Un giorno, mentre come di consueto rovistavo tutta la casa alla ricerca di un paio di mutande pulite, sentii un grido straziante. Alzai di scatto la testa e mi ritrovai dinanzi allo specchio della mia camera da letto. Sono il grande Güstavson, investigatore del poco probabile e quasi impossibile, ma anch’io oggi ho avuto paura.
Corro rapido quanto il mio corpo privo di mutande può permettermi. Quasi rovino a terra scendendo dal piano superiore giù per le scale che lo collegano al piano terra. Mi affaccio all’anticamera dell’ingresso con gli occhi spalancati dalla paura, il fiato corto e lì lo vedo. La fonte delle mie paure più profonde prende forma. C’è Paleandro, il mio assistente diversamente abile, con in mano una busta aperta e nell’altra un anello particolare, un anello dai colori sfumati, tre colori che divengono uno solo. Il simbolo del mio passato dal quale ero fuggito, il simbolo della famiglia che mi aveva ripudiato.

03~08~1860 ~Capitolo I~
E caddi come corpo morto cade“. Non avevo mai capito fino in fondo questa frase dell’Inferno dantesco fino a quando non sperimentai anch’io quella sensazione.
Ieri è arrivata una lettera direttamente dal mio passato, e sono svenuto. Io Sir Henry Güstavson III, discendente di una grande famiglia della misteriosa terra di Botavia, ora investigatore per conto di sua maestà la Regina d’Inghilterra, ero stato bandito per sempre dalla mia casa natia quando all’età di dodici anni mi misi a correre nudo lungo una tavolata imbandita, come gesto di ribellione ai precetti del galateo che volevano tenessi il tovagliolo sulle gambe durante la cena. Ah nobiltà, quanto dura puoi rendere la vita!
Ripresomi dallo spavento volli leggere la lettera. Sotto lo stemma di famiglia, un anello tricolore che circonda uno scoiattolo ed un riccio che ci danno dentro come matti, c’era qualcosa che mi lasciò scioccato. Una cameriera, sentendo parlare delle mie grandi doti investigative nella casa della mia famiglia ed avendone grande bisogno per un suo parente scomparso, volle contattarmi supplicando il mio aiuto. Coincidenze del caso, il parente della giovane Maria Wang, questo il nome della cameriera, era il mio lavandaio, proprietario di una famosa lavanderia a secco di Londra. Negozio rinomato per via del premio datole dalla mia cara amica la Regina. Bisogna infatti sapere che lo zio della ragazza, questo il suo legame di parentela, aveva ricevuto il premio come datore di lavoro con il maggior numero di lavoranti stranieri. Questo perché il proprietario cinese aveva alle sue dipendenze addirittura un intero staff di cinesi! Quando si ha il dono della benevolenza è giusto esserne premiati.

04~08~1860 ~Capitolo II~
Dopo un giorno di preparazioni infinite, le partenze vanno ben pensate fino in fondo, ebbi organizzato tutto l’occorrente per qualsiasi imprevisto. Pranzo al sacco composto da un panino al formaggio messo nella stessa sacca dei calzini di Paleandro, che anche l’aroma vuole la sua parte, e un bicchiere mezzo vuoto di modo che nell’imprevisto di perderci nel famoso detto saremmo stati già a metà strada! Naturalmente c’erano anche altre cose nello zaino, ma non venendomi più battute lasciamo stare e proseguiamo con l’avventura. Come dicevo la spedizione si presentava ardua, usciti di casa ci lanciammo in una corsa a perdifiato nel vano tentativo di recuperare tempo prezioso. Ma come ho scritto pocanzi l’impresa fu vana, difatti superammo la lavanderia, visto che si trovava proprio al fianco del mio studio, e l’unica cosa che riuscimmo a recuperare fu solo altro ritardo!
Giunti finalmente alla meta tanto agognata entrammo con coraggio senza preoccuparci della nostra incolumità, e fu così che caddi un’altra volta come corpo morto cade, questa volta a causa di una bottiglia riversa al suolo. Devo però dire a mio favore che le bottiglie a terra sono un po’ il nemico naturale di quelli che entrano nei locali senza preoccuparsi della propria incolumità, quindi rivedendo la scena sotto quest’ottica possiamo notare quale lotta eterna io abbia inscenato per la signoria vostra.

11~08~1860 ~Capitolo III~
Dopo una settimana di agonia a letto, e di sogni allucinati dovuti all’etere nel mio corpo, mi ripresi da un brutto graffio al naso e un’unghia scheggiata. Se voleste vedermi come un miracolato per questa mia ripresa prodigiosa sappiate che il dottore ci mise ben venti minuti per giungere sul luogo del grave incidente, così facciamo anche un po’ di protesta sociale sul malcostume dei servizi di assistenza pubblica che arrivano sempre tardi!
Ad ogni modo, come annotazione personale, devo dire che avendo avuto carta bianca dalla mia cliente sull’arditezza e sulle spese delle mie imprese mi risollevai sia dal letto che di spirito, il costo del medico glielo mettevo in conto alla cameriera, che in ambito lavorativo si sa essere una delle categorie meglio remunerate!
Chiusa questa parentesi infortunistica ripresi le indagini e ritornai seduta stante con Paleandro alla lavanderia cinese, luogo del rapimento del proprietario del suddetto locale. Le tracce dopo più di una settimana erano ancora evidenti, certo con un po’ di polvere sopra e quasi del tutto cancellate dalle indagini della polizia, ma ancora ben visibili per un detective del mio calibro. L’indizio più evidente era una fotografia appesa al muro, la quale raffigurava tutti i dipendenti del negozio, con sopra disegnata una freccia indicante uno dei cinesi e la scritta: “Questo mi ha rapito, vi prego aiutatemi! Firmato il proprietario cinese“.
Voi penserete che io potessi farmi confondere da un’informazione simile, ma dato che sono sempre una mossa avanti ai miei nemici capii che la scritta non serviva semplicemente a sviarmi ma bensì era una contro-informazione, insomma era la verità travestita da falsità travestita a sua volta da traccia vera. In poche parole decisi di seguirla e basta.
La mattinata fu fruttuosa e così decisi di prendermi una giornata di pausa, che a certe ore del giorno gira brutta gente per le strade, anche se le mie vere intenzioni erano di andare a pranzo, e le mie intenzioni ancora più vere erano di perdere un po’ di tempo per far lievitare il contributo al mio portafoglio da parte della mia cliente orientale.

12~08~1860 ~Capitolo IV~
Brutta giornata, fuori piove e il mio unico impermeabile ce l’ha il mio lavandaio, quindi con molta probabilità a quest’ora sarà in possesso del suo rapitore. Un motivo in più per trovare quel dannato furfante, i soldi in fondo non sono tutto. Nota personale, mi sono ricordato solo ora che da più di una settimana non indosso un paio di mutande pulite. La confusione degli ultimi giorni mi ha a tal punto frastornato che me ne ero completamente scordato. Conto sul fatto di ritrovare il lavandaio per fargli lavare l’unico paio di mutande in mio possesso.

13~08~1860 ~Capitolo V~
Finalmente la pioggia era cessata e potevo ricominciare le mie indagini. Decisi di iniziare interrogando il mio unico sospetto, l’unico problema era che quest’unico testimone non avevo idea dove vivesse. Fu allora che decisi di mettermi a chiedere alle persone che incontravo per caso lungo la mia strada, insomma mi affidai molto al destino, e visto che nei ristoranti cinesi ci sono sempre quei simpatici biscottini della fortuna capii di essere sulla pista giusta. Il mio fiuto da investigatore non mi inganna mai!
Mentre ero intento a cercare l’indiziato incontrai una donna che mi riconobbe subito. Dovete infatti sapere che un tempo, prima di dare libero sfogo alle mie capacità investigative, ero un modello di slippini da spiaggia. Purtroppo la mia esagerata specializzazione in quel settore, dovuta principalmente alla mia attenzione per la qualità e non come fu detto ad un mio comportamento ben poco eterosessuale, mi costrinse a lasciare prematuramente le scene dello spettacolo. Ed ora ecco qualcuno che mi adulava per il mio passato, cosa naturale visto il mio charme e la veneranda età della signora, e così mi tuffai in una relazione da detective privato, di quelle che quando ci ripensi senti ancora le lenzuola di seta sulla pelle nuda e calda, e i bourbon scolati per dimenticare quell’ammaliatrice con i peli sulle labbra. Insomma uno di quegli amori che ti tormenta l’anima per due o tre giorni buoni, in pratica finché dura la sbronza, poi è tutta discesa.

22~08~1860 ~Capitolo VI~
Ci masticammo e sputammo a vicenda come cicche troppo ciancicate senza ormai più sapore. Per farla breve le sue gambe erano talmente pelose da sembrare una foresta amazzonica, e sinceramente ad Agosto fa troppo caldo per avere come fidanzata una pelliccia ambulante!
Decisi di rimettere insieme le idee così tornai a casa da Paleandro, il quale mi aveva dato per disperso visto che mi ero completamente dimenticato di avvisarlo della mia avventuretta e non ero più tornato a casa da giorni. Ed eccoci ritornare in sella e metterci di nuovo sulle tracce del sempre più irraggiungibile cinese. Comunque a ben pensare devo annotarmi di non fare più il mantenuto di una donna di mezza età senza un soldo, mi sono fatto una vacanza davvero infame e solo per amore, troppo poco per le mie desiderose tasche.
Mentre ero stato assente Paleandro aveva trovato il cinese supposto ladro di cinesi, e fu così che mi ritrovai a dare la caccia al possibile fuggiasco. Presi due tram, un autobus ed una metropolitana per la sua intera corsa prima di rendermi conto di non sapere l’indirizzo del furfante orientale. Dopo aver schiantato di botte il mio aiutante per la figuraccia che mi aveva fatto fare, mi feci spiegare da lui come arrivare al luogo tanto agognato. Per fortuna la commozione cerebrale che gli avevo causato non aveva leso la sua memoria. L’80 % delle sue capacità cognitive sì, ma la memoria no. La fortuna si sa, aiuta sempre gli audaci.
Mi ributtai a capofitto nell’inseguimento e fu così che arrivai all’altro capo della strada dove abito e dove, pensate la coincidenza, vivevano anche tutti i lavoranti della lavanderia. Paleandro mi raggiunse proprio mentre chiedevo spiegazioni in merito al rapimento del loro titolare, ma la risposta mi lasciò basito, era in cinese!
Quel giorno la notte calò presto, e due ombre si mossero a passi lenti e sconfortati verso i loro giacigli.

23~08~1860 ~Capitolo VII~
Mi risvegliai il giorno appresso nel mio letto. Paleandro era al mio fianco già pronto con un dizionario cinese-botavo in mano. Anni di servizio ai miei ordini, e di botte punitive, l’avevano reso un assistente perfetto. Certo fosse stato anche capace di parlare non avrei dovuto sopportare quel suo balbettare a gesti senza senso, ma già così era grasso che colava. Comunque lo ringraziai con un biscotto per cani e mi tuffai con impeto alla ricerca delle parole cinesi che prudentemente mi ero fatto segnare su di un foglio. Dopo ore di incessante lavorio di occhi e dita scoprii il significato di quegli enigmatici simboli orientali. Su per giù la frase era questa: “Vallo a chiedere a sua nipote!” Alquanto maleducata come risposta, ma la faccenda mi intrigò parecchio e fu così che presi la decisione più importante della mia vita, ritornare nella casa della mia famiglia nella bella e misteriosa terra di Botavia.

25~27~08~1860 ~Capitolo VIII~
Visto che se la montagna non va da Maometto è Maometto che va all’agenzia di viaggi, in tal guisa feci io, presi un paio di biglietti per raggiungere via nave la mia terra natia. Preparati i bagagli si decise di partire subito per non sprecare il vantaggio acquisito sul ritardo certo, e così arrivammo al porto dopo soli due giorni di cammino impervio per le strade di Londra. Purtroppo per questioni di fuso orario, che non starò certo qui a spiegare a menti elette come le vostre che avete deciso di leggere i miei scritti, fummo in anticipo di un paio d’ore buone. Una vera disgrazia, ma per un colpo di fortuna insperato la nave era in anticipo e così io e il mio fido aiutante fummo tratti in salvo.

30~08~1860 ~Capitolo IX~
Arrivati che fummo sulle belle coste di Botavia mi posi immantinente sulle tracce della mia cliente, poi mi ricordai che stava nella mia casa natia quindi ritornai sui miei passi di gioventù e mi mossi verso le mie antiche terre.
Quanti ricordi, il capanno degli attrezzi dove mio padre mi prendeva a cinghiate, l’aia dove mia nonna mi menava insieme al cane, il boschetto dove mia madre mi prendeva a legnate perché non studiavo. Comunque bando alle memorie felici e spensierate della giovinezza. Il caso mi premeva troppo per potermi lasciare andare a simili pensieri. E fu così che mi ritrovai nel mezzo del corridoio di casa mia. Una luce eterea illuminava la cameriera, che come un segno del destino mi aspettava all’ingresso. Già la cosa mi faceva venir voglia di scappare, ma io sono un detective del poco probabile e quasi impossibile quindi rimasi stoico nella mia posizione.
Lei mi parlò subito, mi disse tutto ma proprio tutto, tanto che alla fine mi raccontò ogni magagna sulla sua vita passata ma manco un accenno sul rapimento di suo zio. Presi una decisione che potrebbe lasciare sconvolti molti di voi, ma in quel momento mi sembrava l’unica soluzione possibile. Sparai alla cameriera.

01~09~1860 ~Conclusione~
Arrivati a questo punto è giusto che io tiri le somme di ciò che accadde in quel caldo mese d’Agosto. Forse vi starete chiedendo perché sparai alla cameriera cinese mia cliente, ma la risposta è talmente lampante che mi chiedo se abbiate letto bene l’insieme di questi miei pensieri. Con l’assassinio della cara Maria Wang potei incolpare i miei famigliari del delitto e finalmente rientrare in possesso delle mie proprietà, cosa che mi permise di ottenere la mia tanto agognata vendetta e il riempimento delle mie tasche con un patrimonio del tutto invidiabile.
Detto questo devo aggiungere, per coloro che ancora si domandano dove finì il proprietario della lavanderia a secco, che mi ricordai solo all’ultimo delle mie avventure che fu lo stesso lavandaio a informarmi tempo addietro della sua futura partenza per una lunga vacanza in terra d’Oriente. A ricordarselo prima mi sarei evitato parecchi problemi!
In fin dei conti però una domanda regna ancora sovrana: “Ma che cacchio devo fare per avere un paio di mutande pulite?!

~Post Scriptum~
Lo so, lo so, starete pensando che questa storia è assurda, che il colpevole è sempre il maggiordomo e altre balle simili, ma la verità è che quello non c’è stato al gioco e allora ho pensato di impersonare io entrambi i protagonisti, eroe e cattivo. Et voilà, ecco un capolavoro!

FINE

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